3 settembre 2011

Il fascino del dubbio.


Per lungo tempo mi sono considerato in qualche modo uno scettico. Alla fine si ha sempre ragione ad esserlo perché è una posizione muta. Quando si tace è difficile essere confutati, tocca agli altri rispondere, è chi ci circonda ad essere nella posizione scomoda.
Chi può sostenere veramente lo sguardo della sfinge?

Come per altre questioni, ho cambiato radicalmente il mio rapporto col dubbio nel corso del tempo. Guardandoci indietro si ha l’occasione di vedere, nelle pagine di un diario, fosse anche quello sbiadito della memoria, quanto di noi abbiamo perso. Con la giusta dose di tempo e esperienza è possibile che di quello che eravamo in un istante passato non sia rimasto nulla. E’ un po’ come morire, un cambiamento della nostra manifestazione.

-Ma tu, dimmi, non hai paura di morire?
-Si. Ma sono morto così tante volte che ormai ci ho fatto l’abitudine.
Era una vecchia pagina di diario, una delle poche che ancora riesco a rileggere senza imbarazzo o vergogna.

Oggi non posso più dirmi scettico, al contrario, di fronte agli uomini dubbiosi mi sento vagamente a disagio. Un disagio empatico che è rifiuto della vigliaccheria. Il dubbio è del vigliacco.
Esitare, interrogarsi, attendere anche quando sappiamo, per la semplice ragione che il nostro sapere non può essere assoluto, oggi mi sembra un basso trucco.
Il dubbio può solo essere universale. Dal momento che si accetta la possibilità del dubbio in una questione lo si espande istantaneamente su tutto il conoscibile. Basta un passo nell’agnosticismo e giù per le rapide del dubbio fino al non poter nemmeno affermare l’esistenza delle proprie mani.

Come è possibile esistere nel dubbio?

La risposta è semplice: non si può. Il dubbio è l’impossibilità di scegliere, di agire. E’ la negazione stessa dello strappo esistenziale. Per questo è elegante, è di là, dall’altra parte della vita.
Credo che sia questa mia mancanza di eleganza presente che mi rende malinconico nel rileggermi ai tempi del dubbio.
Se la malinconia è una sorta di noia ricercata, il sentimento di non appartenere al mondo, che cosa può suscitarla meglio dell’eleganza della negazione della possibilità?
Diciamocelo, dal momento che agiamo, siamo tutti delle creature pietose, scarafaggi ciechi che si dimenano, il dubbio invece è la fine del trauma.

Nello scetticismo c’è la fine di ogni civiltà, una nostalgia nobile per la barbarie. Il dubbio risiede nello spazio destinato alla volontà di potenza.
Che lo abbia rinnegato poco conta, perché ho come l’impressione che il suo fascino mi perseguiti.
Come si può resistere all’estetica di un così sincero desiderio di autodistruzione e rovina?
Possiamo veramente negarci l’irrequietezza dell’empasse?
L’attimo prima, l’esitazione, l’indecisione, la ribellione all’esistenza e alla possibilità.

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