28 settembre 2009

Follow the leader...oh wait!

L'altro giorno Obama ha pronunciato il suo primo discorso nell'assemblea delle Nazioni Unite. Qualche anno fa avevo visto un film di fantascienza di serie B, c'era un presidente di colore alla casa bianca. Un presidente negro, mi ero detto, se non è fantascienza questa. La gente sbaglia, a volte.

Oggi Fared Zakaria ha paragonato quel discorso a quello pronunciato da Nixon, all'indomani delle elezioni perse nel 1962 in California. Sono saltato sulla sedia, proprio come voi in questo momento, a vedere i nomi di Nixon e Obama nella stessa frase. Devo ammettere che l'intuizione di Zakaria è dannatamente buona, vorrei averla avuta io. Avete presente? Museo nazionale centro dell'arte Reina Sofia, Madrid, sala rossa. Un gruppo di studenti dell'accademia, terzo anno. Rasta in testa. Moleskine in tasca. "Avrei voluto avercela io l'intuizione di questo...questo qui. Questo Guernica."

Nixon fece un passo indietro in quel discorso, disse che non voleva essere più la scusa per tutto quello che di sbagliato succedeva negli USA, che non si sarebbe più fatto prendere a "pesci in faccia". Aveva perso. Ora toccava agli altri occuparsi dei problemi. Poi fece altri cento passi in avanti, passi che lo hanno portato di fronte al tribunale della storia. Non ne è uscito bene, Nixon.
Ma quel passo indietro non era male, era fermo, aveva un senso.

Non so quanti passi in avanti farà il presidente Obama, per ora ne ha fatto uno indietro, come Nixon. Gli USA non si occuperanno più di tutti quei problemi o presunti tali che gli altri stati possono delegare, mantenendo per loro il lusso di poter criticare. E' incredibile che cosa possa seguire un passo indietro. Ad andare avanti, a seguire il leader sono bravi tutti. Ma se il leader si ferma?

In ordine sparso, il freak show mondiale si presenta così:

Putin ha dichiarato che potrebbe appoggiare sanzioni più dure nei confronti dell'Iran in caso rifiuti di fermare il piano nucleare.

La Cina ha firmato l'inasprimento del trattato di non proliferazioni delle armi nucleari. La sceneggiatura è stata acquistata dal produttore di quel film...quello lì col presidente di colore.

Per stasera, ore 02:30 italiane, è previsto l'intervento di Osama Bin LAden al David Letterman Show. Secondo le indiscrezioni sembra che confesserà di sottoporsi a cinque minuti di waterboarding al giorno, perchè si sente in colpa, per quella storia delle torri. Che sarebbe stato meglio tirare gli aerei su qualche grattacielo israeliano, ma che quelli c'hanno il mossad, mica la cia. Quelli non si fanno fregare come i tordi. Ma lui agli ammeregani ci vuole abbene. Che non facciano così ora. Che continuino a dargli la caccia, perchè se lo merita, lui. Per favore! Che il waterboarding giornaliero mica basta come punizione.

E in tutto questo noi che facciamo?

E per noi, intendo noi italiani. Ammesso che si possa parlare di un popolo o di una nazione, in Italia. Perchè parliamoci chiaro, non siamo troppo abituati a prendere le decisioni, non abbiamo una gran storia di democrazia. Voglio dire, abbiamo avuto un re per una cinquantina d'anni, un duce da seguire col passo dell'oca per altri venti, siamo diventati un protettorato a stelle e strisce per altri cinquanta e ora...beh, ora abbiamo questa cosa qui. Fossi il protagonista di Choke la chiamerei "Barzelletta, che non è il termine esatto. Ma è il primo che mi è venuto in mente."

I cani non hanno problemi a seguire i propri padroni, facendo il passo dell'oca o meno. Se addestrati a dovere possono compiere lavori anche impossibili per i loro addestratori. Cercare esplosivi, feriti sotto cataste di lamine, trainare piccole barche a riva e un sacco di altre cose.
Splendide bestie i cani. Purtroppo tendono a non fare niente senza i propri padroni.
Un cane abbandonato in autostrada finisce, nella migliore delle ipotesi, a vagare alla deriva, capace appena a sopravvivere.

Ora il padrone ha lasciato il guinzaglio, e a dire la verità noi non siamo nemmeno questo granchè come cane. Voglio dire, dipendenti da gazprom di sua maestà Putin, costretti a sottostare all'ospite del gerontocomio beduino libico. Secondo partner commerciale dell'Iran dopo Mosca. Non deve essere un gran pedigree agli occhi dell'uomo che ha reso la fantascienza realtà.

E ora? Che diamine sono quelle luci accecanti che si avvicinano?

23 settembre 2009

L'orgasmo perfetto!

Si certo, come no. Magari la prossima volta.

Fregati! Vi vedo eh. Lì, con le palpebre lievemente socchiuse per mettere meglio a fuoco lo schermo. Con le vertebre cervicali ordinate a comporre un arco convesso all'altezza della gola.

Potete rilassarvi ora.

Il sesso fa questo effetto, sempre. Per questo fa audience.
State pur tranquilli, siete in internet, la casa del sesso. Potete trovarne a volontà non appena uscirete da questa pagina.

Su internet potrete trovare anche il film documentario Videocracy, oppure potreste andare a vederlo al cinema, come ho fatto io domenica sera.
Aspettate! Aspettate un attimo prima di cliccare via da qui diretti su youporn; è vero, non parlerò di sesso in questo articolo, ma nemmeno di politica. Possiamo trovare un accordo insomma.

Videocracy non è un documentario sulla politica, anche se ci sono dei riferimenti politici. Non è nemmeno un film sulla libertà di informazione, anche se tratta di non informazione. E' un film su di "noi".

Questo noi sta per "noi italiani", ma anche per "noi uomini", inteso come genere umano.
Tutto il film è un susseguirsi di personaggi da freak show. Dal produttore livido, grassoccio e omosessuale, al presidentissimo di ogni cosa. Dal paparazzo attention whore, palestrato e tatuato, che si fa riprendere nudo, stirandosi il cazzo in modo che nell'inquadratura appaia barzotto ma non eretto, fino alla "meglio gioventù" dell'evoluto e avanzatissimo nord Italia. Il tutto condito da veline, letterine, bocchine, mignottine, culi, tette, imbarazzo, regresso culturale, allegria psichedelica e altro ancora.

Questo carrozzone funziona!
E non intendo il carrozzone delle telecomunicazioni, quello lo vedo che funziona, mi basta accendere la televisione. Dicevo del film. Funziona. La migliore prova scientifica indipendente del fatto che il film colpisca me l'ha fornita la mia inconsapevole assistente, seduta alla mia destra, la signorina F. Generazione Sex and the City.

La signorina F. ha totalizzato nel corso del film almeno una decina di "ehmfh", che non è un vagito, è più un sospiro aspirato, quel disappunto misto a un pizzico di vergogna e rabbia che nella lingua comune si traduce in: "questo che sto vedendo è proprio estraneo al mio schema mentale su come dovrebbe essere la realtà del mio mondo". Ci sono stati addirittura due o tre "appoggio la mano sulla fronte e lascio cadere il palmo a coprirmi parzialmente gli occhi", che nel linguaggio comune si traduce con: "questo è talmente contrario alla mia visione del mondo che non lo voglio nemmeno vedere tanto ne sono imbarazzata".

Ecco il perchè dovreste vedere Videocracy, è come guardarsi in uno specchio rotto. Notare obrobri riflessi in frammenti informi. Inorridire alla loro vista. Deridere, condannare quelle deformità per poi accorgersi che non sono altro che la nostra immagine riflessa.

L'immagine di me, che alle due della notte cerco di far funzionare un "analizer" per il mio blog.
Questo blog non ha nessuno scopo commerciale. Sono talmente pigro da non voler nemmeno pensarne uno, nemmeno dei più semplici. Quelli delle società che ti truffano facendoti esporre i loro banner per poi non pagarti. Quelle società non ti pagano, mai. Ma non importa.

Anche senza alcuno scopo, mi ritrovo a declinare rosari di lodi a tutti i santi per far funzionare quel dannato strumento, che mi permette di sapere in quanti leggono il mio blog. Nello stesso imbarazzante stacchetto delle aspiranti veline, nello stesso umiliante show del sosia di Van Damme ma che balla come Ricky Martin. Nel disperato tentativo di trovare il sè di qualcun'altro che mi faccia esistere.

E più tardi ti accorgi, di essere uno degli attori di Videocracy, e più è peggio. Perchè hai avuto più tempo per criticare, per sbeffeggiare, per inorridire di fronte a quelle immagini. Quelle riflesse nei brandelli di specchio rotto. Più tempo passa, prima di capire, e più profondi sono gli "ehmfh". Più in basso scende la mano a coprire gli occhi.

Intendiamoci, è un attimo, e riguarda solo la mente concettuale. Non serve a nulla coprirsi gli occhi quando si è ciechi . Ma nonostante tutto vale la pena mettersi in condizione di riflettersi su quello specchio. E' come una catarsi. Che val bene i sei euro del biglietto e un paio d'ore del nostro tempo.

19 settembre 2009

Carosello.

Per festeggiare le cinquemila visite ho deciso di rinnovare un po' la grafica.
Probabilmente è qualcosa tra il terribile e il fastidioso.
L'unica novità rilevante è la possibilità di consultare il blog in formato "testuale" con i link in alto a destra, in modo da non appesantire troppo connessioni mobili, cellulari e compagnia bella.

Ovviamente non avevo idea di tutto questo finchè non me lo sono ritrovato nella pagina. Si, il layout che vedete non l'ho creato io, ho solo scroccato il lavoro di un altro. E nemmeno sapevo a che cosa servissero quei link, quelli in alto sulla destra, sotto il motore di ricerca che non funziona. Me lo ha spiegato un amico su msn.

Ah si, dimenticavo, i due motori di ricerca.
Quello in alto a destra non funziona. Non riconosce mai nessun risultato. Potete però scriverci delle bestemmie, se serve a sfogarvi.
Quello a sinistra invece funziona. Male ovviamente. A volte non trova tutti i contenuti del blog, ma temo che sia un side effect del tempo che impiega google a catalogarli, magari a qualcuno potrà servire.

Mi dispiace un po' per la vecchia intestazione, mi piaceva la scritta con l'effetto luminoso e i richiami all'insieme di Mandelbrot ai lati. Magari qualcuno di voi ha le capacità per farne una simile in tema con la nuova grafica e il nuovo layout. In caso vogliate dare una mano potete contattarmi su msn (suckandroll at live.it). Sarete ricompensati a dovere. Come l'autore del layout per intenderci.

Fine del carosello. Ci sentiamo presto.

17 settembre 2009

Diritti.

"Ne ho il diritto!!!"

Quante volte avete letto o sentito questa frase?

A me capita in continuazione. Mentre leggo i giornali, mentre navigo in rete, mentre scambio due parole con gli amici. Ma cos'è un diritto?

Su wikipedia troviamo questo: "l'insieme ed il complesso (in genere sistematico) delle norme che regolano la vita dei membri della comunità di riferimento".

Ovviamente non è a questo che si riferiscono tutti quelli che esclamano la nostra frase.
Vantano piuttosto una qualche caratteristica insita nel nostro essere.

Sono alto un metro e ottanta e ho il diritto alla vita.
Ho gli occhi azzurri e il diritto alla mia libertà personale.
Ho due gambe e il diritto di associazione.

Ne esistono a decine, centinaia, probabilmente le nostre vite sono troppo corte per poterli esercitare tutti. Al lavoro. All'immagine. Alla privacy. Di proprietà. Allo studio. Di religione. Di culto. Di pensiero. Soggettivi assoluti. Soggettivi relativi. Probabilmente anche mezzo soggettivi ablativi, comparativi, mancini, subatomici, sedativi e chissà che cos'altro. Ne inventano ogni giorno di nuovi, l'ultimo arrivato su proposta della senatrice leghista Carolina Lussana è il diritto d'oblio su internet (e non so davvero se ridere o piangere).
Grazie onorevole Lussana, se ne sentiva la mancanza.
Del diritto d'oblio su internet.

Quelli ritenuti fondamentali e inalienabili (e anche qui non so se ridere o piangere), sono raccolti nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. In pratica il più lungo e considerato rotolo di carta da culo che abbia mai trovato un posto nella realtà di questo mondo.

Da cosa derivino i diritti poi, è una diatriba accesa da anni. Tralaltro con interesse pari a quello dell'ultimo cinepanettone dei Vanzina. In due parole:
- ci sono i sostenitori del "diritto naturale", che credono e affermano che i diritti siano "categorie" presenti nelle persone dalla loro nascita, conseguenza naturale della loro esistenza. Hai due occhi, un peso, un dna e una serie di diritti che sono tuoi in quanto esisti.
-ci sono poi i profeti del "diritto positivo". In questo caso i diritti deriverebbero dal fatto che qualcuno ha scritto una norma in proposito. Che è stabilito per legge dagli uomini per così dire.

Non so, onestamente, quale delle due sia la più assurda e risibile. Come si possa pensare che scrivendo qualcosa su un foglio questo si avveri non riesco a spiegarmelo, all'infuori della fantascienza intendo. Come poi possa esistere di fatto, come conseguenza della nostra esistenza mi appare ancora più oscuro.

Voglio dire, quando il Titanic è affondato nel mar glaciale artico, perchè i naufraghi non hanno invocato il loro diritto alla vita? Che diritto aveva l'oceano di congelarli? Dopotutto il diritto alla vita è inalienabile, c'è scritto anche sopra la carta da culo. Ogni volta che in Africa nasce un bambino sieropositivo che morirà di aids nell'anno seguente, dove va a finire il suo diritto alla salute?

Ogni volta che un boia, in una qualche regione del nostro piccolo pianeta, sta per azionare l'interruttore di una sedia elettrica, o di una camera a gas. Ogni volta che un plotone di esecuzione sta per tirare un grilletto. Ogni volta che una ghigliottina sta calando, c'è qualcuno che invoca il diritto alla vita. Associazioni, individui, stati interi, tutti in fila, con la loro carta da culo in mano, come in preda a un attacco di dissenteria collettivo. Perchè per i naufraghi no e per gli assassini si?

Badate bene, io sono contrario alla pena di morte. Vi starete anche chiedendo come possa essere così stupido da paragonare un naufragio e un'esecuzione non è vero?

La differenza tra un'esecuzione e un naufragio esiste finchè esiste "io". Posso dare facilmente qualche ora di libertà alla mia mente concettuale, lasciando che la tartaruga sacra cancelli le mie orme, in quel momento, quando "io" non è niente, in quel momento, un naufragio e un'esecuzione sono la stessa cosa. Sono sicuro che potete farlo anche voi. Guardare un attimo oltre il velo, intendo. Le cose accadono.

Di ritorno dalle gite oltre il velo, la nostra mente concettuale ricompare, ma è sempre un po' più lucida. Possiamo perfino azzardare una definizione di diritto che non sia così ridicola come quelle elencate sopra.

Che cos'è un diritto?

E' una sovrastruttura. Un nome appiccicato a qualcosa che ne aveva già un altro.

Il diritto alla vita altro non è che la pietà empatica che ci impedisce di uccidere i nostri simili. E' il vantaggio evolutivo della strategia "tit for tat". E' l'insieme delle ritorsioni che rischiamo nel caso uccidessimo qualcuno.
Il diritto alla salute è la legittima aspirazione di ogni individuo a essere felice e sano.
Il diritto alla proprietà è la forza con cui proteggiamo le cose di cui abbiamo bisogno.

Si potrebbe andare avanti per ore. Ma immagino che avrete colto il senso.
Non c'è niente di inalienabile nei diritti, non provengono da alcun luogo che non sia la nostra realtà. Cessano di esistere qualora cessino le condizioni che ne permettevano l'esistenza. Nonostante ci sia un rotolo di carta da culo male utilizzato.

12 settembre 2009

La Moratti, Anthony Hopkins e la mia moto.

Mi ero riproposto di non parlare di fatti di cronaca. Se non altro perchè c'è molta gente che ha più risorse e più competenze di me per farlo. Questa è un eccezione, anche se solo per metà. Visto che la notizia è vecchia di quasi due mesi. Per farla breve mi riferisco all'ordinanza, entrata in vigore a Milano il 19 luglio, che vieta la vendita, il consumo, la cessione e l'acquisto di alcolici per i minori di sedici anni. L'intenzione della Moratti, secondo le sue dichiarazioni, è quella di proteggere la salute dei ragazzi e di inibire dei comportamenti dannosi per loro e per gli altri.

Ne parlo ora perchè oggi non ho trovato parcheggio nel piazzale di fronte casa mia. Ho dovuto rimettere l'auto in garage. Lì ho visto la mia vecchia moto, sotto un telo di plastica. Non saprei perchè, ma tutte le cose pericolose finiscono dietro o dentro qualcosa. Ho una katana dentro un cassetto del salotto. Quattro fucili ereditati da mio nonno, tre denunciati e uno a canne mozze "per le emergenze", dentro un armadietto chiuso a chiave e una nsr sotto un telo di plastica.

La mia moto non è stato il primo mezzo che ho guidato. A quattordici anni, mio nonno mi ha passato il suo dingo cross 50, Moto Guzzi. Venti anni di onorato servizio. Gli ho piazzato sopra tre adesivi con Eddie, la mascotte degli Iron Maiden, e un adesivo di Ozzy Osbourne sul parafango anteriore. Era pronto. Sulla marmitta di quel motorino c'ho lasciato un pezzo di pelle della gamba e un po' di grasso corporeo. Nello stesso punto in cui mio nonno, anni prima, aveva appoggiato la busta che conteneva un coniglio che stava riportando a casa, dopo averlo comprato da un contadino. Quel punto è tutt'oggi coperto da grasso fuso, plastica fusa e pelle fusa. Un po' cose mie e un po' del coniglio.

Probabilmente i miei si sentivano un po' in colpa per avermi dato quell'amatissimo rudere, anzichè comprarmi uno scooter o un beta four o un bullit, come era successo alla maggior parte dei miei coetanei. Così dopo mille suppliche e preghiere, a 16 anni e un giorno, ero seduto sulla mia Honda nsr raiden 125. Uno di quei 125 due tempi da tredicimila giri che ora non fanno più. Centonovanta chilometri all'ora di velocità massima dichiarata dalla casa costruttrice.

Giuro che andrò sempre piano.
Con la testa sulle spalle.
Non sorpasserò mai in curva.
Sono un tipo prudente, lo sapete.
Che poi, sei marce, me ne basteranno quattro...

Notoriamente.

In un paese di diecimila anime non ci sono estranei. La gente si divide in: amici, nemici, conoscenti.
Un mio conoscente, coetaneo, condivideva la mia stessa passione per le moto. Un giorno uscì largo da una curva tornando da scuola, andando addosso a una panda che arrivava dell'altra corsia. La testa gli si è staccata dal collo nell'impatto col parabrezza (Con la testa sulle spalle. L'avrà detto anche lui, ne sono sicuro). Poi ha proseguito, casco e tutto, fino alla faccia della signora che guidava la panda. Morta anche lei sul colpo.

La differenza tra me e lui ora la fanno quindici anni di vita. I viaggi. Gli incontri, le storie. Le serate belle e i momenti brutti. Gli studi. Gli amici e chissà che altro.
Quindici anni fa però, era diverso. Tra me e lui, in tante occasioni, la differenza l'hanno fatta dieci centimetri. Un sistema neurale un pelo più veloce. Un guidatore più esperto in un altro veicolo. Qualche fotone, che anzichè terminare la sua corsa sulla mia retina accecandomi per quel secondo in più, aveva deciso di riflettersi sulla visiera del mio casco, per finire chissà dove.

A questo punto potrei dirvi che scendere dalla moto, con l'adrenaline rush che ti fa tremare talmente le gambe da non poter quasi camminare non è niente. Che non ne vale la pena.
Suonerebbe tanto ipocrita. Come sentire da Ulisse, legato sull'albero della sua nave, mentre i suoi compagni stanno remando con le orecchie tappate dalla cera, che il canto delle sirene non è poi questo granchè.

Il fatto è che crescere è pericoloso. La Moratti, i nostri genitori e coloro che ci amano in generale ci vorrebbero vedere uomini da subito. Purtroppo non è possibile. Per diventare uomini bisogna, prima, essere ragazzi.
Andrew Ryan diceva (concedetemi la citazione da nerd), a proposito dei bambini: "sono così inutili, prendono tanto e non producono nulla. Dovremmo trovare un metodo per accelerarne la crescita." Chi ha giocato a bioshock sa che fine hanno fatto le sue idee, la sua utopia, la sua Rapture. Non credo che la Moratti abbia giocato a Bioshock, altrimenti non avrebbe firmato quell'ordinanza.

Io non credo che il sindaco di Milano o i nostri genitori agiscano per il male. Solo non hanno chiaro il quadro d'insieme. Sono probabilmente spaventati e fanno del loro meglio per tenere le cose sotto controllo. Purtroppo quel controllo non l'hanno mai avuto.

E' qui che mi è ritornata in mente la scena di un vecchio film con Anthony Hopkins.



Buona fortuna a chi sta per salire sulla "sua moto". Che questo piaccia alla Moratti o meno.

11 settembre 2009

7 settembre 2009

Domande e risposte...

...che sono non domande e non risposte. Proprio per questo possiamo chiamarle domande e risposte.

La prima volta che ho avuto a che fare con Susan Blackmore è stato qualche anno fa. In quel periodo stavo conducendo alcuni esperimenti coi miei sogni. Da quell'esperienza ho imparato molte cose, ma la più importate è questa: se non hai idea di cosa stai facendo, smetti di farlo! Potrebbe arrivarti un UPS fast delivery di sterco addosso.

Svegliarsi nel bel mezzo della notte con tutti i muscoli del tuo corpo paralizzati, rendendosi conto di non poter respirare, non è una bella esperienza. Soprattutto se non sai che durerà solo qualche secondo. Quei secondi sono un'eternità. Un tempo più che sufficiente a capire la vera essenza della parola panico! E' come annegare nel proprio letto. A dire il vero non ho mai rischiato di annegare, ma me lo immagino così.

E' stato grazie alla Blackmore che quel panico ha avuto un nome. Paralisi notturna. In ogni era, in ogni cultura, c'è stata della gente che è annegata nel proprio letto come me. La colpa è stata data a vari demoni, streghe, mostri che visitavano gli uomini nel sonno, tentando di soffocarli, strangolandoli o sedendo sul loro petto. Gli ebrei se la prendevano con Lilith. I sudamericani con una strega di cui ora mi sfugge il nome. I Babilonesi con Lilitu. Durante il medioevo era colpa delle Lamie. In Sardegna di Ammuntadore.
In realtà è un disturbo legato al turbamento della fase REM. E' proprio vero che chi si fa i cazzi suoi campa cent'anni. E soprattutto non si sveglia paralizzato mentre sta soffocando.

Come mai mi sono messo a scrivere della Blackmore... a si... le domande... e le risposte.

Che cos'è il sè?

La Blackmore lo chiama selfplex. Sarebbe una sorta di supermeme. Corazzato. Enormemente evoluto. Racchiuderebbe in lui tutto ciò che ci da l'illusione di esistere e di agire. L'illusione di avere un qualcuno, dentro la testa, proprio dietro agli occhi, che abbia il controllo della situazione.
Ipotesi interessante, sicuramente elegante, se ci pensiamo il DNA venne isolato per la prima volta da Friedrick Miescher nel 1869. "L'origine della specie" era già stato pubblicato nel 1859. Magari tra qualche anno qualcuno riuscirà ad isolare e osservare un meme. Fino a quel giorno tutta la memetica potrebbe anche essere la "teoria nuova dell'imperatore" per quanto mi riguarda.

Il selfplex esclude, per come è definito, la libertà d'azione. Il presente racchiude il futuro per dirla alla Leibniz. Il nostro libero arbitrio sarebbe una mera illusione. I geni e i memi che ci hanno costruiti proseguirebbero, ciechi, verso il loro non fine. Può sembrare terrificante e assolutamente illogico a chi è digiuno della questione. Dal canto mio, non ho nessuna difficoltà ad accettare questa verità, non c'è niente dal punto di vista della fisica che ci porti in un'altra direzione. Tutti i modelli che descrivono il nostro mondo, dalla meccanica newtoniana, alla relatività generale, alla fisica quantistica puntano tutti nella stessa direzione. Non c'è volontà. E' tutto determinato. Il presente contiene il futuro in maniera ineluttabile.
Ci sarebbero però un paio di piccoli problemi in proposito...

Il primo sono le equazioni di Schrodinger e a riguardo temo che non vi basterà Google. Vi servirà piuttosto un bel po' di buona volontà, in caso vogliate cavare qualche ragno dal buco. Magari ci torneremo più tardi, in maniera approssimativa, per forza di cose.

Il secondo è che per creare un'illusione ci deve essere qualcuno da illudere.

Un kung-an è un quesito. Un dilemma che ci spinge a ragionare perchè apparentemente non c'è nessuna risposta alla domanda posta. "Che faccia avevi quando i tuoi genitori non erano ancora nati?"
"Che rumore fa un albero che cade in una foresta dove non c'è nessuno ad ascoltarlo?"
Ce ne sono moltissimi, sono usati nella pratica buddista come esercizi meditativi. Se la dottoressa Blackmore avesse praticato qualche buon kung-an probabilmente non sarebbe caduta nel suo errore.

Nel tentativo di risolvere il secondo problema che abbiamo visto (non credo che sia nemmeno a conoscenza del primo a dire il vero, quindi probabilmente lo ha visto come unico ostacolo alla sua teoria), ricade in ciò che aveva cercato di distruggere. Dopo aver annientato il sè, riducendolo a meme, è costretta ad ammettere l'esistenza di una coscienza, priva di volontà, che è il soggetto dell'illusione del sè, la vittima del selfplex. Distruggi la coscienza, poi ricreala, con connotati più vaghi. Ecco il suo lavoro. Ecco la sua risposta. Purtroppo solo dopo aver capito che la risposta è una non risposta, si può chiamare una risposta...appunto risposta.
Peccato. Sembrava un così buon tentativo.

Che cos'è allora questo sè?

Ma è ovvio! E' il creatore dell'universo!

Ok, lo ammetto, frase ad effetto. Ho giocato ad alzare la polvere. Mi scuserete. Non ho resistito.
Stavo pensando al primo punto, quello di sopra, quello sul quale ho soprasseduto. Vi ricordate quando ho scritto che la fisica non ammette libertà?
Le cose non stanno proprio proprio... ehm... in questi termini...

Chiunque si appresti ad addentrarsi in un argomento scientifico, che sia una conferenza, un articolo, un libro o semplicemente che stia ascoltando un amico, si chiede, intimamente, in cuor suo, se riuscirà a capirne il senso. Vi tolgo immediatamente questo dubbio. Non ci capirete nulla. Posso in compenso consolarvi dicendo che nessuno c'ha mai capito qualcosa su questa questione, forse Thich Nhat Hanh, ma su di lui torneremo in seguito.

La luce è fatta di particelle, chiamate fotoni. Probabilmente al liceo vi hanno insegnato che la luce ha una doppia natura, corpuscolare e ondulatoria. Dimenticate quelle lezioni. Ammesso che le ricordiate. Erano sbagliate.

Immaginate la luce come una pioggia di particelle, tante gocce chiamate fotoni. Queste gocce vengono in parte riflesse, ossia rimbalzano, sulle superfici. Avete presente la luna che si specchia sul lago? Il povero Narciso? Bene ci dovremmo essere. Se emettiamo una particella di luce per volta, un fotone, e lo mandiamo verso due lastre di vetro possiamo vedere che viene riflesso in media l'8% delle volte. Questa percentuale può variare dallo 0 al 16%, mai scendere sotto o sopra a queste percentuali, ma il perchè è lungo da spiegare e indifferente alla nostra discussione.
Abbiamo detto che se emettiamo una serie di fotoni, un certo numero verrà riflesso, il restante attraverserà le due lastre. Ma se i fotoni partono tutti dallo stesso punto, viaggiano alla stessa velocità, hanno la stessa massa e incidono le lastre con lo stesso angolo. Allora, come fa il singolo fotone a decidere se essere riflesso o attraversare la lastra?

Ecco una buona domanda (di quelle che sono non domande e proprio per questo possono essere chiamate domande). Nessun fisico ha mai trovato una risposta (Che faccia avevate prima che i vostri genitori nascessero?). Il mistero sta nelle equazioni di Schrodinger e nella regola del modulo quadrato. Quel fotone attraversa le lastre E è riflesso allo stesso tempo, di più, sta percorrendo tutte le traiettorie possibili dal punto di emissione fino al punto di arrivo, che sia esso oltre la lastra o meno, è in tutti i luoghi e in tutti i tempi. Sapete cosa determina l'evento?
Io. Il sè. Osservo il fotone e bam! Lui ha deciso quale traiettoria percorrere e se attraversare o meno le lastre. Ogni evento che accade nell'universo (tranne la gravitazione e la radioattività, vai a capire perchè) si può determinare attraverso la combinazione di eventi elementari come la traiettoria del nostro fotone, con la regola del modulo quadrato. Ogni singola cosa che accade è determinata dal sè.

Vi avevo avvertito che non ci avreste capito niente. Ma abbiate almeno fede. Inserite un cd nel vostro lettore, sentite la musica? Potete sentirla perchè le cose stanno come ho provato a spiegarvi. Perchè il sè crea l'universo!

Vi ricordate di Thich Nhat Hanh? E' un monaco vietnamita candidato da Martin Luther King al premio nobel per la pace nel 1967. Quell'anno il premio nobel per la pace non fu assegnato.
Per darvi un'idea di che persona sia, mentre durante la guerra in Vietnam i suoi seguaci venivano massacrati dagli americani perchè comunisti e fucilati dai vietcong perchè considerati anticomunisti, ha scritto questa poesia:

Promettimi, promettimi oggi, promettimi ora
mentre il sole splende là in alto
esattamente allo zenit, promettimi
se anche ti annienteranno
con una montagna di odio e violenza,
se anche calpesteranno la tua vita
e ti schiacceranno come un bruco,
se anche ti faranno a pezzi
e ti sventreranno,
tu ricorderai, fratello
che nessun uomo è nostro nemico.
Solo la tua compassione
e la gentilezza amorevole sono invincibili,
e senza limiti.
L'odio non potrà mai tenere a freno
la bestia che è nell'umanità.
Un giorno dovrai tu stesso
affrontare la crudeltà,
il tuo coraggio intatto,
i tuoi occhi pieni d'amore,
anche se nessuno saprà del tuo sorriso,
che sboccia come un fiore nella solitudine e nel dolore più grande,
chi ti ama ti vedrà ancora
viaggiare attraverso migliaia di mondi
nella nascita e nella morte.
Nuovamente solo, me ne andrò
a testa china,
sapendo che l'amore è diventato eterno.
E sulla strada lunga e difficile,
ci sarà ancora
la luce del sole e della luna
per guidare i miei passi.

L'ho "incontrato" per la prima volta poche settimane fa, passeggiando nei giardini pubblici della mia città. E' da allora che ho trovato la risposta alla nostra domanda (che è una non risposta e proprio per questo posso chiamarla risposta).

Che cos'è questo sè?

Ora immagino che vi aspettiate, come premio, dopo questa lunga lettura, che vi dia questa risposta (che è una non risposta e proprio per questo potete chiamarla risposta). Mi piacerebbe.
Purtroppo non posso. Non posso scrivere di quello che sta dietro al velo, dovrete, per forza di cosa darci un'occhiata da soli. Non basterebbero le parole (che sono non parole e proprio per questo posso chiamarle parole). Nè baserebbero i vostri sensi (che sono non sensi e proprio per questo posso chiamali sensi) e il vostro intelletto a capirlo. Ma sono sicuro che se siete arrivati a questo punto siete pronti per dare una sbirciata dietro al velo, vi serve solo la punta giusta per fare un taglio abbastanza grande da infilarci la testa. Buona fortuna di cuore.

6 settembre 2009

On your knees. Worship me!

No, non sono impazzito. Non sono nemmeno in preda a manie di onnipotenza. Pensavo piuttosto ai luoghi comuni. Aristotele ha scritto che i luoghi comuni sono tali perchè veri. Di più, li considerava una delle migliori armi per persuadere, uno dei più efficaci artifici della retorica. Ammetto di non essere un gran fan di Aristotele, lì, imbronciato sugli spigoli di quel cubo.

Il luogo comune in questione è "la cultura è elitaria". Con buona pace di Aristotele, nella maggiorparte delle volte in cui, nella mia vita, ho avuto a che fare con qualcuno che ne sapesse più di me su un argomento, quel qualcuno si è sempre dimostrato più che disponibile alla conversazione. Che fossero mail, chiacchierate, lettere o telefonate, chi conosce qualcosa è sempre più che propenso a diffonderla.
Gli scienziati sono ben lieti di pubblicare gli esiti dei loro studi. I professori di insegnare. Gli scrittori e i filosofi di scrivere. Gli amici di condividere i loro pensieri.
E' ironico notare invece come chi cerchi di mantenere un argomento dietro una coltre di fumo è, nella maggiorparte dei casi, ignorante in materia.
Se ne potrebbe discutere a livello memetico, ma non è l'argomento che mi preme questa notte.

Zakk Wilde è un chitarrista americano. E' il leader di una band southern rock-metal chiamata Black Label Society, nonchè il chitarrista co-writer di Ozzy Osbourne. E' da sempre una delle mie maggiori influenze musicali, non saprei contare quanti mi bassi abbia spezzato suonando i suoi riff. Purtroppo oltre ad essere un chitarrista di eccezionale talento è un redneck. E' quello che oltreoceano chiamano "a rightwing conservative christian". A volte ascoltando i suoi pezzi mi viene la voglia di bruciare qualche negro in strada, vestito da fantasmino bianco. Fortunatamente non passano molti negri da queste parti, nell'entroterra marchigiano.
Zakk ha scritto due pezzi (uno a quattro mani con Ozzy) intitolati Miracle Man e Counterfeit God, sul fenomeno dei telepredicatori. Per capirci, prendete Survivor di Chuck Palahniuk, servitelo caldo con riffettoni heavy metal in drop D e assoli pentatonici di semibiscrome et voilà, il pranzo è servito. La speranza dei disperati. Le promesse dei predicatori. Gli show grotteschi. Le false rivelazioni. Il raggiro.

La cultura non è elitaria. Il potere invece si.

Non c'è modo migliore per non ottenere una risposta che fare una domanda a un politico. Di questi tempi sembra che domandare sia addirittura un reato, meritevole di querela.
Spedite una mail per chiedere conto a un politico o a un amministratore e la vostra casella di posta rimarrà vuota.
Mandategli una lettera e avrete sprecato un francobollo.
Telefonategli e vi risponderà una segreteria telefonica o una segretaria, anche detta segreteria telefonica organica.

Con questo non voglio dire che chi amministra il potere non parli, semplicemente quello che dicono non ha alcun significato. Non si addentrano in nessuna questione. Parlano del niente col niente. Non vogliono un dibattito o una discussione e il modo migliore è non trattare alcun argomento.

"We are never defeated until we give up on God" di Ronald Regan non significa assolutamente nulla.
"Il nuovo miracolo italiano" di Berlusconi è niente.
"Yes we can"? Vuoto pneumatico.

"Yes we can" ha portato il primo afroamericano alla casa bianca. La sua riforma sanitaria probabilmente non passerà, nemmeno sull'onda emotiva della morte del suo vero ideatore, Ted Kennedy. Un conto è il vuoto, un altro sono gli argomenti.

Il mondo non si divide in chi sa e chi non sa. Tra chi ha cultura e chi no. Il mondo si divide tra chi comanda e chi no. I primi non hanno alcun interesse a diffondere qualcosa, a discutere, a confrontarsi su qualcosa di concreto. Hanno interesse a che le cose rimangano esattamente come sono ora. Certo, ci sarebbe un piccolo problema, quella cosa chiamata democrazia. Si, la peggior forma di governo possibile una volta scartate tutte le altre.
Per far si che le cose rimangano come sono, i nostri politici, i nostri preti, i nostri televenditori hanno bisogno di rappresentarci. Yes, we can. Hanno bisogno della nostra approvazione, del nostro voto, del nostro appartenere a una confessione religiosa. Ecco il miracolo! Italiano o meno che sia. Hanno bisogno delle nostre aspettative e delle nostre paure, hanno bisogno della nostra fede. We are never defeated until we give up on god! (I'm your god!).

L'ironia dei pezzi di Zakk va oltre le sue intenzioni. Su quegli schermi non passano solo i suoi telepredicatori di vangeli catodici. Passano i nostri politici. Passano i suoi politici. Passano i nostri preti, i mullah, gli impiegati degli uffici tecnici, le giunte regionali. Passa il prete che ci confessa. Passa il vescovo che ci cresima. A loro va la nostra fiducia. A noi torna il vuoto fatto slogan.

In ginocchio! Fatevi rappresentare!

3 settembre 2009

La genesi.

Eugenio C. aveva sempre portato i capelli corti. Gli bastava farsi la barba ogni tre giorni, la considerava una fortuna. Ogni tanto compativa quei poveretti costretti a radersi tutte le mattine per mantenere un aspetto civile. Si divertiva a pensare alle loro schiene coperte di peli ispidi, sudati, d’estate. La camicia dentro i pantaloni scuri, taglio classico, stile Ralph Lauren ma prodotti in Cina. All’alba dei vent’anni aveva già una certa pancia da appoggiare a quella camicia. Con un diploma da ragioniere in tasca. Cinquantaquattro non era malaccio, allora non si poteva ancora arrivare a cento, la razza non si era ancora evoluta. Parlava poco in classe, sorrideva quando serviva. Serio per il resto del tempo. Due ore di studio al pomeriggio, diceva lui, il resto del tempo lo passava non si sa come. Probabilmente ne deve aver parlato a qualcuno, ma al momento dubito che abbia qualche importanza.


A quei tempi Eugenio C. aveva una fidanzata, la portava insieme ai capelli biondi corti, con un girello sulla nuca. Insieme ai pantaloni Made in China, a un paio di mocassini. Insieme agli occhiali da vista senza montatura che rimpicciolivano gli occhietti marroni.

I pantaloni non erano sempre stati lunghi, prima del diploma da ragioniere, prima della licenza media, erano stati anche corti. Eugenio C. aveva giocato a pallone, poco e male ad essere sinceri, si era sbucciato le ginocchia. Aveva riso, più di quanto non avrebbe fatto dopo la licenza media e il diploma da ragioniere. Aveva pianto, più di quanto…beh avete capito immagino.


Un diploma da ragioniere con cinquantaquattro non si butta, ma una laurea in economia e commercio è meglio. Una borsa di studio all’ersu, un collegio malandato in centro, trenta ore di lezione a settimana, due ore di studio al giorno. Magari qualcuna di più, come diceva lui.

E’ stato in quegli anni, in quel collegio malandato che Eugenio C. entrò nell’Organizzazione. Entrato, a dire il vero non è la parola giusta. Non c’è sempre una parola giusta per descrivere quello che è successo o deve succedere.


Marta entrò nella biblioteca di diritto privato verso le sei del pomeriggio.

- Ciao, scusa, mi servirebbe un favore - Sorrise.

- Se posso - Disse Eugenio C. guardando il cielo grigio del novembre maceratese, stampato come un puzzle sulle finestrone quadrate della biblioteca.

- Non ho fatto in tempo a preparare la parte sui diritti soggettivi relativi, ho l’esame tra quarantacinque minuti. Stai studiando privato vero? – Sorrise.

- Si…ma…ecco non ho fatto in tempo per lo scritto di oggi, provo il prossimo appello e quella parte non l’ho ancora fatta. Tranquilla comunque – sempre guardando il cielo, o al massimo la metà della faccia di Marta - Parisi non chiede mai i soggettivi relativi e allo scritto ci sono solo 3 domande.-

- Si ok, grazie ugualmente - Disse Marta smettendo di sorridere, mentre andava verso una ragazza seduta a due banchi di distanza.