4 novembre 2009

L'immaginario del dottor Parnassus.

Se volete andare a vedere questo film non fate come me.
Non andate per passare due ore con gli amici.
Non andate a vedere una favola.
Non prendetevela alla garibaldina.
Non aspettatevi l'inquisizione spagnola.

Anche se non è una vera e propria recensione, in quello che segue ci sono degli spoiler. Se non avete ancora visto il film e volete vedervelo senza sapere nulla, NON proseguite la lettura. Ci risentiamo dopo la vostra visione, in caso.


Se siete ancora qui significa che avete già visto il film oppure che siete troppo curiosi per aspettare.
Nel primo caso probabilmente sarete un po' confusi. Non vi biasimo. E' successo anche a me all'uscita dalla sala.

A giudicare dalle facce dei miei amici e degli altri spettatori siete in ulteriore compagnia.
Il lavoro di Gilliam è contorto, visionario e surreale. E' praticamente impossibile trovarvi un senso immediato, e la sensazione di incompiuto ti si attacca alle gambe. Si esce con gambe pesanti dalla sala, dopo aver visto questo film.

Non mi voglio fermare troppo sulla performance degli attori. Troverete molti giudizi in proposito in rete e il mio sarebbe del tutto superfluo. Mi piace invece ripensare il film. Strappare con voi quella pesantezza alle gambe.

Per qualche giorno, sul forum di NGI, si è parlato di linguaggio. Una certa parte dei miei lettori viene proprio da quel forum quindi colgo l'occasione per salutare con un cenno la platea.

Senza quella platea io avrei ancora qualcosa di pesante da trascinare. Attaccato alle gambe. Dopo il film di Gilliam. Perché il linguaggio è la chiave del film.

Ad essere onesti Gilliam mette subito in chiaro le cose. In un modo che più chiaro non potrebbe essere. Luce.

"Noi raccontiamo una storia eterna. Se ci fermassimo l'universo scomparirebbe."

Quello che sembra un insensato vaneggiamento di un monaco è in realtà la concezione di Gilliam sul linguaggio. Così innocentemente espressa che quasi non la si nota. Occupati come siamo a cercare in chissà quale anfratto della trama un senso.
Il linguaggio condiviso crea la realtà, l'universo, descrivendoli. A nulla serve al diavolo zittire i monaci. Qualcun altro sta già raccontando un'altra storia, l'universo vive in essa. E' il regista a prendere il posto dei monaci zittiti e la platea forma la dualità, la condivisione, necessaria al linguaggio.

Di qui in poi è solo una carneficina. Una carneficina di immagini, di illusioni e di sensazioni che ditruggono le nostre sovrastrutture e i nostri linguaggi, fino a che non rimane solo quello del regista.

La prima vittima è la fisica, la scienza. Uccisa dalla magia surreale dell'immaginario di Parnassus, dalle sue regole improbabili, dalla sua fiabesca assurdità.

La seconda è la logica. Muore nel non rispetto delle regole, nella mancanza del rapporto causa effetto. Nelle promesse e scommesse insensate, mai rispettate, mai riscosse. Mai centrali nel filo narrativo del film. Puro specchio infranto della scena del ballo tra Valentina e Nick.

L'ultimo sacrificio è quello della morale. Sembrerebbe strutturale, eterna diatriba tra il santo Parnassus e il diabolico Mr. Nick a contendersi anime nel corso dei secoli. Lo spettatore si aggrappa a questa corda, unica salvezza in un sogno surreale. Il regista la taglia. Le anime "salvate" da Parnassus sono in realtà truffate da Tony. Mascherato in volto, come nascosta è la sua anima. Mr Nick non è poi così cattivo come lo si dipinge. Il monaco Parnassus accetta di diventare assassino per salvare la figlia che ha già scelto di dannarsi.

E lo spettatore precipita senza appigli, proprio come Parnassus continua a essere intrappolato nel suo immaginario, a rivivere scelte di una morale che ormai agonizza, fino a sputare l'ultimo respiro.
Solo a questo punto, quando Parnassus uccide l'ultima scelta con un senso apparente, quella morale, riemerge l'uomo. L'uomo disperato Parnassus ma anche l'uomo vivo, sua figlia, sposa e madre.

Luci in sala.
Il passo è leggero.

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