25 gennaio 2010

Io. Neuromante e malato.

Stanotte chiuderò la mia trilogia di articoli sulla devianza della pazzia, in caso ve li foste persi potete trovare gli altri due articoli qui e qui.

Oggi Repubblica titolava: "I malati di Internet". Faceva eco il Corriere con un articolo su una clinica per i "malati di internet", a sud di Pechino, nell'amorevole Cina. Un servizio per ogni tg. Vostro figlio gioca col piccì? Può essere grave. Accoltellato padre che spegne la consolle del figlio! Internet è una dipendenza, come fumo, alcol e droga. Ah la dddroga!

Sono malato.

Curiosa diagnosi. Faccio notare all'amorevole dottore che è totalmente non richiesta, abbia pazienza per questa volta. Nessuno aveva chiesto il suo parere. Nessuno.

Il malato che non richiede una diagnosi e rifiuta la cura è pazzo. Semplice logica. Lo facciamo per il suo bene.

Sono pazzo. Alleluia!

La mia pazzia, la mia orrenda devianza risiede nell'aver abbandonato il mio ruolo, il mio corpo.
Figlio adorato. Marito premuroso. Cittadino inconsapevole. Suddito fedele. Lavoratore operoso. Consumatore affidabile. Fedele devoto. Di questo non rimane che cenere.
Il fallimento del sistema, le catene spezzate delle vie già tracciate sulla cartina stradale del contratto sociale.
L'ultimo baluardo a resistere è stato il mio corpo. Non era sufficiente. Non che mi avesse servito male, non che non lo farà in futuro. Me ne prendo cura come mi prendo cura delle cose che mi circondano. Semplicemente non arriva abbastanza lontano.

Oggi non trovo nessuna differenza tra le sinapsi neurali nella mia testa e le connessioni digitali che collegano il mio pc alla mente di milioni di persone che sono l'altro me stesso. Come gli amici, "come i numeri 220 e 284, composti l'uno dei divisori dell'altro", fatti della stessa materia.
Neuromante, sacerdote di un rito Voodoo di silicio che realizza la comunione di ciò che, per sua natura, è unico e indivisibile.

Quando la mente si disgrega in personalità multiple, in avatar condivisi, in molteplici manifestazioni la medicina usa una parola: schizofrenia. Grazie dottore. Anche in questo caso è una diagnosi non richiesta.

Alleluia!

La proiezione della mente al di là dei limiti corporei è una pratica così antica che a guardare in fondo al pozzo si rischia una vertigine. Oggi, adesso, le mie mani che scorrono sulla tastiera sono solo l'ultimo dei riti di una dottrina mistica che squarcia il velo. Babalawo di un culto che unisce la mente di centinaia di milioni di uomini. Uomini ai quali il loro corpo non è più sufficiente. Uomini che sacrificano la propria identità per una comunione di conoscenza.
Virus. La dottoressa Blackmore spiegherebbe così la rete. Saremmo, sarei, ancora una volta malato.

Mi spiace dottoressa, non è così. Non è mai stato così. Noi non siamo l'idea di noi stessi, il linguaggio che ci descrive. Non siamo il nostro corpo. Io sono tutto ciò che non è Io. La parte contiene l'intero e ogni uomo che oggi si erige a Neuromante contiene l'intera rete.

Quanto questo sia spaventoso, a vederlo dall'esterno, mi riesce difficile da concepire. La mia devianza, la pazzia della consapevolezza della comunione con tutte le cose che non sono io. Povero cronista di repubblica, povero governo cinese. E' assai ironico come quello stesso cronista sia, anche ora, uno dei miei numeri amici, sia l'altro me stesso, sia Io, sia la mia mente.


"Uccidi i tuoi genitori, il possesso e l'orgoglio;
uccidi il tuo padrone, il pensiero astratto;
distruggi il tuo mondo con le sue passioni senza freno,
cammina infine sano e salvo."

18 gennaio 2010

Sette giri.

L'altro ieri ricorreva il centenario della nascita di Mario Tobino. Psichiatra e scrittore, antifascista e cattolico. Un bel casino insomma.

Il caso ha voluto, che in quei giorni, come avrete visto dal mio scaffale Anobili, mi sia capitato di leggere un suo romanzo: "Le libere donne di Magliano". Un libro toccante e poetico, non ruffiano, in cui la follia puzza di piscio e galline morte, tra le celle umide del manicomio di Magliano. Un libro dal quale, allo stesso tempo, sgorga una dolcezza e un'umanità strappata, in bilico, negli occhi delle pazienti della casa di cura.

Da quei tempi ne è passata di acqua sotto i ponti, ma quel puzzo si sente ancora. Le mura di pietra sono state abbattute e al loro posto, asettiche e fredde, sono state innalzate torri di Xanax e Roipnol. Steccati di Lexotan si sono moltiplicati, oscuri pozzi di Oxapam e Quilibrex: moderni reparti per i pericolosi.

Al mio paese c'è un'usanza goliardica. Chiunque faccia, di corsa, sette giri della fontana della piazza può ottenere dalla pro loco locale un certificato di follia: la patente da mattu.

Come Cronenberg ne "Il demone sotto la pelle" esorcizza la libertà sessuale con i suoi parassiti gore, come Tobe Hopper in "Non aprire quella porta" esorcizza la rivoluzione sessantottina e la liberalizzazione dei costumi con la motosega di Leatherface, così noi, a Matelica, esorcizziamo la pazzia con sette giri della fontana. La rendiamo ridicola, giocosa, goliardica. Se ne potrebbe fare un concept, se non fosse un mezzo plagio: "Seven degrees of inner turbolence".

Paese dei matti e dei rissaioli. Così è conosciuta la mia cittadina nei dintorni. Lusinghiera nomea, dovete ammettere. Te ne accorgi girando per le strade, entrando nei locali. Non è raro imbattersi in chi "i russi, i russi controllano l'acqua...domani chiudono i rubinetti e che cazzo faccio? tu che cazzo fai?", in quello che "secondo te chi lo prende più in culo, Marina Ripa di Meana o Bill Gates?", in chi chiama Mario quello che si chiama Luca, Luca quello che si chiama Alessandro, mamma la barista e Danilo tutti gli altri esseri umani, ciao! C'è lo storto, la pazza urlante, "che io sono la più bella", quello che "Usciamo, che la risolviamo una volta per tutte!". Poi ci sono quelli che non vedi, quelli dietro le mura, al di là dei cancelli, in fondo ai pozzi.

Nessuno di questi che io sappia ha mai fatto i sette giri. Nessun certificato, nessuna cartolarizzazione. Probabilmente è questa la loro pazzia, il non essere certificati. Nei comportamenti, nel sentire, nelle scelte: l'infinita paura che abbiamo tutti noi di non rientrare nelle regole del "potere circolare", per dirla con le parole di uno che coi matti ha avuto a che fare.

Focault non ha solo formalizzato l'idea di potere circolare. E' stato di più. E' stato tutto e il suo contrario. E' stato eretto a dio di una moderna religione. E' stato l'amico che NON mi ha salvato la vita. E' stato l'abbattimento della morale, la riscossa dell'omosessualità, il trionfo della libera scelta, l'elogio delle follia come devianza possibile e a tratti, addirittura, necessaria.

Soprattutto è stato la mostruosa e inconfessabile contraddizione di aver tracciato una via luminosa e di rappresentare allo stesso tempo l'incapacità di seguirla. Lui, uomo piccolo, accademico di potere, creatore e utilizzatore di quel potere circolare da cui rivendicava la devianza e descriveva l'indipendenza. Potere che utilizzava per esercitare la sua misoginia, per favorire i suoi puer, per erigersi, come il vitello d'oro, a idolo infamante della religione che aveva rivelato. Lui, omosessuale, che rivendicava il diritto di VOI (non noi) omosessuali alla libertà di scelta, che fino anche in punto di morte nascondeva la sua malattia, l'AIDS, allora ancora conosciuta come "cancro dei froci".

Credo che Focault abbia fatto quei sette giri, come noi. Noi che cerchiamo di esorcizzare la follia, mettendola in ridicolo, nascondendo la nostra contraddizione, il nostro desiderio di perseguire quella via luminosa che è la libertà di scelta e al contempo la paura che ci stringe il cuore al solo pensiero. Per questo abbiamo eretto delle fortezze chimiche intorno a noi, per questo giriamo intorno alla fontana, per questa inconfessabile ragione il matto è un malato, un estraneo, uno straniero. E' il nostro pensiero che ci spaventa, è la nostra volontà castrata di eunuchi del potere circolare.

14 gennaio 2010

Oracoli.

Ce ne fossero...

In effetti ce ne sono fin troppi, uno ogni due calendari del nuovo anno, che sarà sicuramente meglio di quello vecchio. Antichi, moderni, letterari. Oroscopi occidentali, oroscopi cinesi, cartomanti abbondanti, abbonamenti a rabdomanti, 144 anzi no, ora è un altro numero: 144 era una truffa, quello nuovo, che è uguale, no.

Dove voglio andare a parare sotto questo cappello?
Bella domanda, potremmo interrogare le stelle, o le budella dei polli. Mi hanno detto che ormai i polli sono tutto petto quindi addio auruspex. Il mercato non è più in grado di assorbire questa figura professionale.

La faccio breve. Ieri ho visto che avevano regalato a mia madre il libro dei Ching. Regalo gradito, tra l'altro. L'aveva riposto in libreria tra i libri universitari di chimica di mio padre e la "ricchissima e nuova (nel '79) enciclopedia degli animali". Quella zona della libreria rappresenta per la mia famiglia, quello che il triangolo delle Bermuda è per i marinai.

Il libro dei ching è il più antico oracolo esistente al mondo. Funziona grossomodo così: si lanciano 3 monete per sei volte, ogni faccia delle monete ha un valore associato, 2 per lo yin e 3 per lo yang. Si sommano i valori che corrispondono a linee fisse, spezzate, intere, mobili. A secondo del risultato, il libro ci riserva una risposta a una nostra domanda, intima e profonda o stupida e faceta. Se tra ventidue secoli i nostri discendenti troveranno una scatola di baci perugina putrefatti e raccoglieranno i fogliettini di Moccia avranno la versione 2.0 dei ching.

Alla fine dell'800 un chirurgo tossicodipendente spiegò al mondo che le parole potevano curare le malattie. Fu preso per matto, ironia della sorte. Oggi, a molti, basta leggere uno dei suoi libri per considerarsi profondi conoscitori dell'animo umano.

Per i tossicodipendenti degli oracoli vale la stessa cosa. Le parole sul libro, le parole dell'oroscopo sui giornali e le riviste, le parole che escono dalle cornette a tre euro al minuto sono una cura.
La cura per la mancanza di autodeterminazione della loro volontà.
Il sé determina l'universo, e determina anche gli oracoli, la nostra cura, la nostra flebo di volontà, lo specchio sul quale il nostro transfert si riflette. Non so quanto costi il libro che hanno regalato a mia madre, il prezzo è stato grattato via, ma sono sicuro che sia molto più economico di una lunga terapia. Il libro inoltre non è un tossicodipendente, non tagliuzzava le persone, al massimo qualche graffio sulle dita e puoi sempre rimetterlo lì, tra "chimica organica I" e "Volume XIV: i grandi felini, dominatori della savana!"

E così sia, ballino le monete...Re di cuori: niente male.

9 gennaio 2010

Rosarno's blues. Dodici battute in Do di matto.

L'intro strumentale è quella che nessuno ascolta, di solito. Perché ancora mancano due tiri a finire la sigaretta, un sorso di whiskey, prima che inizi il cantato, quelle dodici battute sempre uguali. Che palle il blues, è troppo bello.

Questa volta l'intro però l'hanno sentita, perché suonava di vetri rotti. Perché le bacchette non carezzavano la batteria. Erano bastoni, spranghe, cartelli stradali divelti.

E via con la prima strofa, dodici ottavi. Che è come quattro quarti, solo un po' sghembo. Terzinato, lo chiamano i musicisti. Per gli altri è...così, che non capisco proprio, ma qualcosa mi dice dentro che va bene, che è stato sempre così. Che palle il blues...è troppo bello.

Prima strofa.
E' in Mi incazzo, che non è né il quarto né il quinto grado del Do di matto. Né la dominante, né la sottodominante, per questo suona strana, per questo la gente ascolta. Il Mi incazzo è la libera. La libera non c'è nella teoria musicale, ma c'è a Rosarno, nella prima strofa.

Quando è finita la prima strofa la gente ascolta. A qualcuno è piaciuta, qualcuno non l'ha capita; perchè ci sarebbe dovuta essere una dominante statale, o una sottodominante della 'ndrangheta. Che è questa novità della libera dei negri? Che se ne tornino a casa loro. A suonare la loro musica. Che il blues lo sappiamo suonare meglio noi bianchi, un po' di civiltà, che diamine. Almeno la dignità di morire soffrendo in silenzio. Perchè cantano?

Qualcuno è addirittura spaventato, si chiude in casa. Doppia mandata, che con una sola magari entra il Mi libero o il Do, che si sa, in questi casi è il Do di matto e non sai mai quali accordi ci vanno prima e dopo. Quelli soliti, il Fa comodo o il Si campa meglio con la catena al piede e gli occhi chiusi proprio stonano.

Turnaround... Do-po tornerà tutto a posto, Sol-tanto degli incivili, Fa comodo così...

Seconda strofa.
Oramai le dodici battute le abbiamo capite. Tornano la dominante e la sottodominante. La dominante suona strumentale, sono i colpi di fucile, le ossa rotte. La sottodominante canta invece il solito ritornello, interprete conosciuto, il ministro Maroni. Esemplare compositore della ballata "Forte con i deboli e debole con i forti". Duettando con la 'ndrangheta, chiosa in Mi sono cagato sotto: è colpa dell'immigrazione clandestina (non del caporalato e dello schiavismo).
Baciamo le mani ministro. E votiamo in Fa comodo anche questa volta.

Turnaround... Do-mani saranno messi a tacere, poi ci penserà la ndrangheta, Mi fanno schifo, Fa-te silenzio che c'è Vespa in tv...

Terza strofa.
La suona un musicista fuori dal coro. Roberto Saviano. Suona il mandolino e sempre la stessa canzone. Che palle il blues...è troppo bello: non lasciamoli soli. Chi si rivolta ha coraggio!
Strano accordo. A me sembra un Mi impegno. Ma il coro non coglie la variazione. TG, ore 20: si suona il "Si fa presto a pontificare vivendo all'estero e guadagnando soldi con i libri". Figurarsi, i libri.

Outro strumentale, e qui veramente nessuno ascolta. Perché non ci sono più vetri rotti, non ci sono più grida, non ci sono più ossa spezzate. Si suonano gli approfondimenti, in Mi annoio. I TG in Si stava meglio quando si stava peggio. Fraseggiano i politici in Re nudi.

E' tempo degli ultimi due tiri di sigaretta.

7 gennaio 2010

Il vento di Valencia.

Il vento di Valencia arriva così. Che non te ne accorgi, come uno schiaffo, quando prima non c'era nessuno. Sbandi e ti riprendi col cuore in gola.
Ti guardi intorno e vedi che anche gli altri hanno sbandato. Gli altri sulla via, sulla tua stessa strada. Se poi dormivi quando arriva è anche peggio. E' come cadere. Come nei sogni, che salti nel letto e cadi. Nel sogno e nel letto.

Arriva dal sud il vento di Valencia. Parte dall'Atlante, tocca appena il mare e corre su per l'Andalucia. Saluta i briganti che non ci sono più, su quei monti, e corre verso nord.

E' un vento d'africa che ti porta il calore, mentre sei sulla strada. Che l'importante è il viaggio, non la meta. Se ti fermi, lui passa lì accanto e quasi si sente l'Atlante, quasi arriva il mare. Se aspetti solo un attimo puoi perfino vedere i briganti che non ci sono più.
I briganti se li è portati via il vento di Valencia. E chissà cos'altro. Quando sale ancora più a nord, ti accorgi piano piano che ti manca qualche pezzo. Ti giri, col sole alle spalle, che è quasi sera. Immagini che qualcuno, su un'altra strada, durante un altro viaggio, senta anche te insieme all'Atlante, al mare e ai briganti, quelli che non ci sono più.
Ti viene anche voglia di inseguirlo il vento di Valencia, se la tua strada non andasse a sud, se quei pezzi ormai non fossero perduti.

Poi ti riaddormenti e il prossimo schiaffo è una carezza.

"La libertà è l'ultima delle passioni individuali. Per questo oggi è immorale. E' immorale nella società e, per esser precisi, anche in se stessa"
Albert Camus