10 agosto 2009

Abbott. Di quanta fede avremo bisogno?

Ho appena letto Flatlandia. Sono ancora emozioniato da questa squisita favola di cento pagine. Non basterebbero i volumi di un'enciclopedia per sviluppare a fondo tutti i temi toccati in questo libriccino adorabile. A un primo livello potrebbe essere una favoletta deliziosa su di un mondo fantastico. Scendendo poco a poco scopriremmo una critica acre e acuta della società del diciannovesimo secolo, di quella contemporanea e (probabilmente) di quelle future, un trattato di sociologia, un saggio di psicologia e molto altro ancora. Non posso che consigliare a tutti la lettura di questa piccola meraviglia.

In breve la favoletta ci racconta le peripezie di un quadrato che vive in un mondo a due dimensioni. Ogni cosa o essere è una figura geometrica e tutto appare alla vista come una linea. Un giorno, questo povero e limitato essere, incontra una sfera tridimensionale che lo conduce nel suo mondo fantastico di tre dimensioni per poi riportarlo a casa. Al ritorno nel suo mondo il poveretto prova a convincere i suoi simili geometrici dell'esistenza dell'altra dimensione che ha visitato. E' per ovvie ragioni incapace di fornire qualsiasi prova sulla sua esistenza, nè di fornire una spiegazione comprensibile per quella stranezza inaccettabile. Non può che chiedere di accettare la sua storia per fede. Nessuno gli crede. Nessuno riesce a capire la verità nascosta nel suo racconto. Viene imprigionato per il resto dei suoi giorni in una prigione geometrica e trattato alla stregua di un pazzo.

Nel rileggere il mio riassuntino provo un grande imbarazzo per essere uno scrittore così mediocre. Quello che ho scritto non rende nemmeno l'idea della bellezza della storia di Abbott. Mi scuserete per questo, spero che ne trarrete spunto per leggere il racconto originale.
Abbott oltre ad essere uno scrittore molto migliore di me è stato anche un profeta. Flatlandia è una delle più mirabili profezie in cui io sia incappato. Nel 1882, quando è stata pubblicata, l'ipercubo che avrebbe intersecato il nostro mondo a tre dimensioni, per mostrarcene uno nuovo, aveva appena tre anni.

Se un viaggiatore proveniente da un altro mondo mi chiedesse "Quanta fede c'è nel vostro mondo?" io non esiterei a rispondere "Una quantità spropositata".
2,14 miliardi di uomini credono che un uomo chiamato Gesù sia nato da una vergine, sia morto e risorto dopo tre giorni perchè era figlio di un dio trascendente di cui non si può avere prova.
Più di quattro miliardi e mezzo di uomini credono che dopo la morte ci sia un altro mondo. Nessuno è mai tornato a confermare questa teoria. Non ci sono prove che possano anche solo lontanamente avvalorare una tesi del genere.

Albert Einstein era ebreo. Aveva fede in dio. Arrivò a confutare alcuni dei risultati delle sue stesse ricerche pur di non rinunciare alla sua fede in dio ("Dio non gioca a dadi con l'universo"). Quei risultati furono confermati come corretti da altri fisici negli anni successivi.

Quando Einstein iniziò a lavorare sulla teoria della relatività generale non vi era alcuna prova ad avvalorare le sue tesi. Come il povero quadrato flatlandese non poteva misurare il volume nel suo strampalato mondo a due dimensioni. Quello stesso quadrato non avrebbe mai creduto all'esistenza di un mondo a tre dimensioni, sarebbe stato più propenso ad uccidere che ad accettare quella verità che a noi sembra ovvia. Solo dopo aver sperimentato la terza dimensione accettò l'innegabile verità dei fatti.
Einstein non aveva nessun viaggiatore di un altro mondo disposto a regalargli l'esperienza di una nuova dimensione. Lui continuò a lavorare alla sua teoria semplicemente credendola vera, finchè pubblicò nel 1915 la teoria della relatività generale come oggi la conosciamo.
La prima prova empirica indipendente arrivò nel 1919 ad opera di Arthur Eddington, nel corso di un'eclissi. A proposito di quella notte Einstein disse: "Max Planck non capiva nulla di fisica perché durante l'eclissi del 1919, è rimasto in piedi tutta la notte per vedere se fosse stata confermata la curvatura della luce dovuta al campo gravitazionale. Se avesse capito davvero la teoria avrebbe fatto come me e sarebbe andato a letto."

A quell'ipercubo ebreo non servirono i sensi. Bastò la fede.

Se siete in un qualunque bar e per sbaglio le parole "le" "tre" "dimensioni" escono in sequenza dalla bocca di qualcuno, probabilmente qualcun'altro, che altrettanto probabilmente non conosce la relatività generale, cercherà di fare il brillantone facendo una battuta sulla quarta dimensione. Ancora oggi, le teorie di Einstein non sono superate e rappresentano il passo "più lungo" che abbia mai fatto la fisica nella storia dell'umanità. Alcuni le conoscono. Di questi, la maggiorparte le accetta per fede, fidandosi del parere di quei pochi che le hanno comprese davvero grazie ai sensi e alla ragione.

Da quel 1919 è andata crescendo nella comunità scientifica una sorta di ossessione per una teoria capace di unificare la relatività generale e le teorie quantistiche. Io conosco solo la punta dell'iceberg di queste ricerche avveniristiche ma non di meno ho avuto occasione di farmi un'idea in proposito. Una delle più eleganti nuove teorie unificanti è conosciuta come "teoria supersimmerica delle stringhe" o semplicemente teoria delle superstringhe. Cercare di spiegare in breve una cosa che non si è capita molto a fondo è un'opera ai limiti dell'impossibile (come capisco il povero quadrato al suo ritorno da flatlandia, almeno lui avrebbe continuato a portare nel cuore il suo viaggio, poteva contare sulla memoria dei sensi), ci proverò goffamente.

A dare origine alla materia sarebbero delle microscopiche stringhe che vibrano in particolari modi. Il tipo di vibrazione determina le caratteristiche della particella generata, la sua massa, il suo spin e la sua rotazione. La mia matematica pur essendo sufficiente per la relatività generale non è abbastanza buona per l'analisi del modello di Calabi-Yau, il modello a sei (ouch!) dimensioni su cui si basa la teoria delle stringhe. A voler essere precisi ci saebbero molte altre dimensioni arrotolate oltre a queste sei. A seconda delle diverse teorie potrebbero essere 10-12-16 o addirittura 26.
Poveri noi, piccoli quadrati. Inutile ripetere che non abbiamo alcun senso atto a percepire queste dimensioni nè alcun mezzo per misurarle, rappresentarle o anche immaginarle. Penrose non esiterebbe a bollare queste teorie come "Teorie nuove dell'imperatore". Potremmo essere intrappolati in un mondo che non abbiamo la possibilità di capire. Le stesse stringhe sarebbero, secondo la teoria, non più grandi della misura di Planck (1,616x10-35 m). Prima di avere a disposizione uno strumento in grado di osservare qualcosa di così piccolo, i nipoti dei nostri nipoti saranno andati a finire in quel luogo che quattro miliardi e mezzo di uomini considerano un posto migliore.

Senza sensi, di quanta fede avremo bisogno per compiere il prossimo passo?


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