6 agosto 2009

Specchi

La stazione della metropolitana è densa di fumo. Sto in piedi a stento, retto dell’inerzia dei corpi accalcati intorno sulla banchina, più che dalla volontà delle mie gambe. Un pedone intrappolato su una scacchiera. Potrei fare solo un passo, solo in avanti. Tornare indietro ormai è fuori discussione. La sirena che annuncia il prossimo treno mi risveglia improvvisamente e per un attimo cerco di ricordare da quanto tempo è che non dormo davvero, sforzo inutile, non riesco a pensare a nient’altro che al fumo e a quei manifesti elettorali spiaccicati sul muro, al di là delle rotaie

Cinque anni fa quei manifesti non c’erano. Un’ordinanza aveva voluto degli specchi su quel muro grigiastro della metropolitana. Si pensava che fossero un deterrente per i suicidi, dopotutto chi avrebbe avuto il coraggio di uccidersi guardandosi in faccia. Una boccata di fumo mi arriva ai polmoni.

Il treno si ferma e, meccanicamente, i pedoni neri avanzano verso i bianchi e viceversa. Si specchiano gli uni negli altri senza neppure guardarsi in faccia. Nessuno anche volendo li potrebbe distinguere. Un passo gli uni e un passo gli altri, in pochi istanti i neri sono bianchi e i bianchi sono neri. Penso che non è il mio passo. La folla dei pedoni quasi mi travolge, ma con una forza che non credevo di avere, resto fermo sulla banchina e per un attimo è quasi come se il pensiero di poter compiere qualche altro movimento sulla scacchiera mi sfiorasse lusinghiero. E’ solo un momento. La scacchiera si riempie frettolosamente, aspettando la prossima partita. Avrei dovuto aspettare il prossimo treno, quello delle sei e quarantatre. Istintivamente gli occhi si muovono e cercano di bucare la cortina di fumo per arrampicarsi in su, fino all’orologio digitale fissato sul muro appena dietro la banchina. Il vetro è rotto. Trentasette gradi spariscono dal display lasciando spazio al segnale orario ma rimanendo appiccicati al fumo e ai miei pensieri. Sei e trentotto. Ho ancora un po’ di tempo.

-Ciao, di nuovo qui?-

E’ bellissima. Era bellissima. L’unica cosa a cui il fumo sembra non voler o non potersi attaccare. E’ così come la ricordavo quell’ultima volta in cui ci eravamo lasciati cinque anni prima, su questa stessa banchina, occhi neri e quella dolcezza che tanto mi aveva tormentato.

-Mi dispiace davvero. Non doveva andare in quel modo. Non dovevi essere qui.
Cos’hai?
Non dici niente?-

Ti amo. Avrei voluto averle detto solo questo. Non era necessario che fosse stato cinque anni fa su una fumosa banchina della metro. Mi sarebbe bastato farlo in qualsiasi altro momento. Quando ci eravamo visti per la prima volta nel viale dietro la trattoria del quartiere vecchio o dopo il primo bacio o ancora ogni giorno in cui mi ero svegliato accanto a lei. Dio come vorrei poterlo dire ora.

La sirena annuncia il treno delle sei e quarantatre. I pedoni sono fermi in attesa di fare il loro passo, ma il mio li anticipa, mentre mi rifletto un’ultima volta sugli specchi che non sono più lì.

Di nuovo insieme –Ti amo-.

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