18 dicembre 2009

Guillermo del Toro, Günter Grass. Pick your point of view.

C'era una volta una nazione, due lampadine, una falena, un bambino, un'offerta rifiutata e una promessa.
C'era una volta una bambina, un mostro dietro una porta e un mostro di fronte a una porta, una prova e tanta paura.
C'era una volta un tamburo, due mazze. La Polonia non era ancora perduta. Che poi ci fosse o no una caduta o meno dalle scale, cosa conta? La Polonia non era ancora perduta.

Cosa fa di una storia una grande storia?

Difficile da dire, probabilmente non sono il più indicato per rispondere.
Di sicuro i due signori di cui sopra hanno risposto come meglio non si poteva.

Il patto narrativo è un contratto. Un accordo tra autore e pubblico liberamente accettato da entrambi. Difficile da ammettere logicamente la necessità di accettare qualcosa di palesemente falso, eppur si muove! Scusate, intendevo: eppure funziona.



Cosa ci spinge a firmare quei contratti? Perché alcuni sono terribili e altri dolcissimi da onorare?

Io. And the song remains the same. Le grandi storie surreali, grottesche, fantastiche, immaginarie sono tali perché ci lasciano scegliere come guardarle. Non c'è vergogna, si prestano, le puoi girare e rigirare. Continuano a sorridere nello stesso modo. O a urlare. O a disperarsi.

Che una gobba spunti guardando le formiche dopo la morte del tuo padre putativo o che sia la febbre causata da un sasso poco cambia. Cosa cambia?
Cambia il nostro punto di vista. Possiamo riscrivere quel foglio prima di metterci sopra il nostro nome. E questo se permettete, fa tutta la differenza del mondo.

Che siano satiri o capitani a popolare i nostri incubi spetta a noi dirlo. La nostra storia è lì, come noi abbiamo deciso di vederla.

Ecco, forse è questo. Le grandi storie si lasciano raccontare come noi le vogliamo.

1 commento:

  1. Ho visto il labirinto del fauno pochi giorni fa, semplicemente commovente.

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