3 settembre 2009

La genesi.

Eugenio C. aveva sempre portato i capelli corti. Gli bastava farsi la barba ogni tre giorni, la considerava una fortuna. Ogni tanto compativa quei poveretti costretti a radersi tutte le mattine per mantenere un aspetto civile. Si divertiva a pensare alle loro schiene coperte di peli ispidi, sudati, d’estate. La camicia dentro i pantaloni scuri, taglio classico, stile Ralph Lauren ma prodotti in Cina. All’alba dei vent’anni aveva già una certa pancia da appoggiare a quella camicia. Con un diploma da ragioniere in tasca. Cinquantaquattro non era malaccio, allora non si poteva ancora arrivare a cento, la razza non si era ancora evoluta. Parlava poco in classe, sorrideva quando serviva. Serio per il resto del tempo. Due ore di studio al pomeriggio, diceva lui, il resto del tempo lo passava non si sa come. Probabilmente ne deve aver parlato a qualcuno, ma al momento dubito che abbia qualche importanza.


A quei tempi Eugenio C. aveva una fidanzata, la portava insieme ai capelli biondi corti, con un girello sulla nuca. Insieme ai pantaloni Made in China, a un paio di mocassini. Insieme agli occhiali da vista senza montatura che rimpicciolivano gli occhietti marroni.

I pantaloni non erano sempre stati lunghi, prima del diploma da ragioniere, prima della licenza media, erano stati anche corti. Eugenio C. aveva giocato a pallone, poco e male ad essere sinceri, si era sbucciato le ginocchia. Aveva riso, più di quanto non avrebbe fatto dopo la licenza media e il diploma da ragioniere. Aveva pianto, più di quanto…beh avete capito immagino.


Un diploma da ragioniere con cinquantaquattro non si butta, ma una laurea in economia e commercio è meglio. Una borsa di studio all’ersu, un collegio malandato in centro, trenta ore di lezione a settimana, due ore di studio al giorno. Magari qualcuna di più, come diceva lui.

E’ stato in quegli anni, in quel collegio malandato che Eugenio C. entrò nell’Organizzazione. Entrato, a dire il vero non è la parola giusta. Non c’è sempre una parola giusta per descrivere quello che è successo o deve succedere.


Marta entrò nella biblioteca di diritto privato verso le sei del pomeriggio.

- Ciao, scusa, mi servirebbe un favore - Sorrise.

- Se posso - Disse Eugenio C. guardando il cielo grigio del novembre maceratese, stampato come un puzzle sulle finestrone quadrate della biblioteca.

- Non ho fatto in tempo a preparare la parte sui diritti soggettivi relativi, ho l’esame tra quarantacinque minuti. Stai studiando privato vero? – Sorrise.

- Si…ma…ecco non ho fatto in tempo per lo scritto di oggi, provo il prossimo appello e quella parte non l’ho ancora fatta. Tranquilla comunque – sempre guardando il cielo, o al massimo la metà della faccia di Marta - Parisi non chiede mai i soggettivi relativi e allo scritto ci sono solo 3 domande.-

- Si ok, grazie ugualmente - Disse Marta smettendo di sorridere, mentre andava verso una ragazza seduta a due banchi di distanza.

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